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INCENDIO DOLOSO NICHEL CROMO

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CARLO NON RISPONDE AL CELLULARE

Qualche giorno dopo, tutto quello che mio padre aveva costruito in quarantanove anni, verrà bruciato. Mi hanno poi detto che ci sono delle ditte specializzate che si possono chiamare se si vuole incendiare qualsiasi cosa.

La vigilanza ha chiamato me alle 23.30 del 3 maggio perché Carlo, amministratore della società, non rispondeva al cellulare.

Mi sono trovata davanti a uno spettacolo irreale. Era come se assistessi all’agonia di un mostro buono, che per quanto fosse brutto e maleodorante non si riusciva mai ad annientare definitivamente. Continuava imperterrito a compiere il suo dovere.

Alla luce dei lampeggianti blu della polizia e dei vigili del fuoco, tra le fiamme e il fumo, l’ho vista esalare l’ultimo respiro, distendere lentamente i suoi tentacoli e spegnersi.

È stato l’ultimo atto di un’avventura che era iniziata nel 1961. C’era mio padre lì dentro con la sua forza e le sue debolezze e con tutta la sua passione disperata per il lavoro.

Provo da subito un sentimento di vergogna per quel crimine, che ha interrotto così vigliaccamente la vita di una fabbrica che dava lavoro a cinquanta persone da cinquant’anni. Sono basita. In quel gesto ritrovo tutta la violenza e la malvagità delle persone che ruotano intorno a questa vicenda. Anche se sembro la sola a percepire questa realtà. Carlo dice che è stato un corto circuito ma non la bevo. Ovviamente anche i giornali riportano la sua versione.Tutti lo circondano e lo sorreggono mentre piange. Io anche se mi sento cattiva non riesco a credergli. Troppe cose si sono succedute in questi mesi perché si possa inserire questo grave fatto in un contesto di casualità. Mesi dopo sarà la procura a darmi ragione con il certificato di chiusura indagini preliminari in cui si accerta l’origine dolosa del rogo.

Si sta per compiere l’ultimo atto.

In scena: la processione di persone che lo sostengono come in una crociata verso la ricostruzione.

“Certo che ha un bel coraggio a ripartire”.  “Molti mi chiedono perché non vado a Lourdes.” Lui recita davanti al suo pubblico. Gioca come ha sempre fatto il ruolo della vittima. Padre morto, sorella che l’ha abbandonato e tutto che si ritorce contro di lui. Il perseguitato. Sempre più straccione, e sempre più attaccato al cellulare.  Cosa stia confabulando sempre,  non è dato saperlo. I tabulati telefonici mi confermeranno che da tempo faceva la spola tra l’Italia e il Messico per organizzare la fuga e traghettare i soldi.

Da me intanto si allontana sempre di più. Capisco che gli do fastidio ma non riesco a capirne il motivo. Lo chiamo gli chiedo come si risolverà questa situazione, come pensa che potremo uscire da tutto ciò. Gli chiedo, ancora, dove sia finito quel socio, perché doveva essere importante. È stato in suo nome che mio padre è morto di umiliazione. Continua a rispondermi che non c’è nessuno. Allora gli chiedo come può pensare di andare avanti, con tutti i debiti che ci sono, o perlomeno con tutti i debiti che millantavano ci fossero. Non si sono mai accertati. Tutte queste mie domande rimangono senza risposte.

scromata

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