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IL MIO SOGNO

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La NICHEL CROMO NON ERA QUELL'OSSO CONSUNTO

Un piccolo capolavoro. Fingersi vittima di un incendio che blocca i permessi, ti fa riscattare un’assicurazione e ti fornisce l’alibi per scappare.

L’imprenditore esasperato dalla burocrazia e dai debiti, questa volta non si dà fuoco né s’impicca per disperazione.

Bravi.

L’Autorizzazione integrata Ambientale, la Seveso, il Rapporto di Sicurezza, Equitalia, il Comune, la Regione, la Provincia, l’Arpa diventano tutti complici inconsapevoli nell’attuazione del suo piano. Rappresentano l’alibi perfetto, che i quotidiani diligentemente trascriveranno sotto dettatura dell’avvocato di Charlie, sulle pagine di cronaca locale.

È la fine di marzo 2011, sei mesi dopo la sua fuga in Messico. Mi trovo nello studio del mio avvocato seduta tra il nuovo AD della Nichel Cromo e l’avvocato di Charlie. Mi sento un po’ come Gesù sulla croce tra i due ladroni.  Tra poco cadrà una tegola dall’alto o forse ne sono già al corrente, non so.

“La mia cliente mi ha chiesto di entrare nell’amministrazione della Nichel Cromo…”

L’avvocato di Charlie mi guarda. Ha gli occhi che si sono trasformate in due palle da ping-pong:

“Per me tu sei pazza…Cioè è ammirevole quello che fai, ma è un’impresa impossibile…”

“Ci voglio provare…”

E’ che sono ormai mesi che penso che forse la Nichel Cromo non era, poi, quell’osso consunto, che mi avevano voluto far credere, Carlo, prima di tutti, se ancora ci stavano attaccati così tanti avvoltoi con un accanimento così inquietante.

Sarebbe stato il riscatto più grande per me. In fondo era l’unico mestiere che sapevo fare. Conoscevo tutti e tutto. Ero la figlia del capo.

 Riaccendendo quell’impianto arrugginito, avrei dissipato gli scarafaggi e probabilmente avrei fatto anche un sacco di soldi. 

E poi era quello che la banda del buco non si aspettava, nel modo più assoluto.

Candida come un giglio, con un tempismo magistrale, arrivo a guastare la festa nei sotterranei della CGIL. Mi presento nel sottoscala della Camera del Lavoro, dove il sindacalista, insieme agli avvocati della confederazione sta convincendo gli operai a fare quello che era già stato deciso a tavolino. Chiedere loro il fallimento della Nichel Cromo. Il sindacalista mi tratta come un’appestata. In piedi al centro della stanza,  gli operai seduti intorno al perimetro del muro, come in un tribunale del KGB inveisce contro di me con la violenza del ladro braccato, mi urla.

“ Chi è lei? Chi rappresenta? La proprietà?”

“Se è così lei è pregata di lasciare questa stanza immediatamente”.

“A parte che io sono quella più truffata in questa storia, ma vorrei sapere tutti voi cosa pensavate quando dopo l’incendio vi facevano caricare bilici di telai?”.

“Pensavate che sarebbero tornati indietro?”

“ Come pensavate di ripartire?”

“Se tutto doveva risolversi in un mesetto, perché portare via l’unica attrezzatura indispensabile per ripartire? Questo almeno ve lo sarete chiesti”

Il camionista risponde con un:

“Ma sai, ce l’aveva detto Carlo”.

“Sì ma non è che siete scimmie. Qualche domanda ve la sarete pur fatta…qualche perplessità…”

Silenzio assoluto.

Diciamo che voglio pensare che gliel’avessero raccontata bene.

Adesso ho le chiavi.

Da pochi giorni sono entrata nell’amministrazione.

Davanti alla Nichel Cromo un operaio mi fa notare una gomma sgonfia.

“Avrò bucato!”

 Il gommista mi guarda con una strana espressione sul volto.

“Guarda che non è stato un chiodo”.

“Ah no?”

 Beh, si sa che il mondo è pieno di imbecilli che si divertono a rigare le macchine e cose di questo tipo.

  Entro, stacco l’allarme. Guardo l’ufficio del Ciccio. Un pugno nello stomaco. Non sopporto quei mobili scuri.

“Cambiamo tutto”.

  Alcuni operai ritinteggiano le pareti, mettiamo una scrivania bianca, la mia che avevo nel mio ufficio/laboratorio chimico, nel magazzino, tolgo l’armadio. Tutto sembra già diverso.

Voglio dirglielo di persona al Ciccio quello che sto facendo. Voglio dargli un’ultima possibilità. Riesco a trovare un suo indirizzo mail in Messico e gli scrivo.

 

Da: barbara bruschi

Data: 09 maggio 2011 10.21.57 GMT+02.00

A: carlo

Oggetto:  strettamente personale

 

Ciao Carlo

pochi concetti semplici ma chiari. Torna a casa. In realtà è veramente semplice riuscire a sistemare tutto. Dei soldi non me n'è mai fregato niente. Lo sai. Ho imbiancato l'ufficio e cambiato la scrivania e questo è già stato sufficiente per vedere le cose da un altro punto di vista. Tira fuori le palle e mettici la tua faccia insieme alla mia. 

Ti aspetto

Barbara

 

Come risposta un silenzio assordante.

Eccomi qui per la prima volta seduta al posto di comando. Guardo fuori dalla finestra e mi sembra di vedere mio padre che gira con la bicicletta.

 Ci sono tante cose da fare. Andare in provincia, capire che cosa devo fare per riaccendere l’impianto. Sono sicura che tutti mi aiuteranno.

Quanto mi sbagliavo…

Sono costretta a farmi scarrozzare da amici, abbastanza nerboruti o da mio marito perché ormai le gomme bucate sono un rito quotidiano.

Convoco tutti gli operai un sabato mattina nel piazzale della Nichel Cromo. C’è il sole.

Voglio fare loro capire che la mia è un’impresa senza speranze, che non devono illudersi. È la cosa più difficile. Dire quello che i tuoi interlocutori non vogliono sentirsi dire. Tradire le loro aspettative. Ma è veramente un’impresa impossibile.Questo è l’unico concetto che deve arrivare forte e chiaro. Se sono lì è per cercare di fare chiarezza, perché non potevo stare a guardare quello che avevano fatto senza cercare di cambiare lo stato delle cose. Per capire ancora. Mi tremano le mani, mi trema la voce. Ma non desisto. Non dico quello che vogliono sentirsi dire. Anche se dentro di me lo nutro un sottile filo di speranza di riaprire la Nichel Cromo.

Quasi tutte le notti l’allarme suona. I Ladri vengono a prendere continuamente i telai rimasti che servono a cromare i pezzi sull’impianto. I carabinieri mi dicono che sono zingari.

“No ma scusate. È più la fatica che il gusto. Secondo voi cosa se ne fanno di pezzi di lega metallica , perché non è ferro, rivestiti per di più di plastica che devi pure togliere …Non è più facile prendere il rame? E di quello ce n’é, ma non lo prendono...vi pare logico? Svegliatevi! Rubano i telai perché è l’unica cosa indispensabile per cromare! E qualcuno non vuole assolutamente che questa fabbrica riparta!”

Ma tutti stanno a guardare senza muovere un dito, anzi se è possibile mettendo sempre più paletti. Gomme bucate, albanesi sotto casa che mi salutano appoggiati al cancello quando rientro, ladri.  E io che corro come una scema a chiedere aiuto e supporto a una massa di stronzi che sa solo guardarmi con un astio che non comprendo, come se dicessero:

“ Ma quella lì che cosa si crede di fare?”.

 “No ma, è tutto normale, allora. Una fabbrica che lavora a pieno regime e non conosce crisi, incendiata, con il titolare che scappa in Messico e voi con le braccia incrociate che state a guardare?”.

“Potrebbe essere andato in vacanza”.

Questo mi viene risposto dalle forze dell’ordine. Mi viene spesso da chiedermi in cosa sto sbagliando.

In provincia mi viene sospesa l’Autorizzazione Integrata Ambientale per tutelarmi.

In caso dovessi subire atti vandalici alle vasche che sono ancora piene di cromo e nichel e acidi vari, perché chi era lì, subito dopo l’incendio, non si è preoccupato di usare il denaro, e ce n’era parecchio, per smaltire i rifiuti. Era molto più importante tappare la bocca agli operai.

Cerco di recuperare qualche credito, ma poca roba. Le casse sono state sapientemente svuotate in quei sei mesi, ovviamente.

La domanda che esige una risposta chiara e semplice e immediata è questa:

“Cosa bisogna fare per potere riaccendere l’impianto”.

Bene è come se si chiedesse di cos’è fatta l’essenza di Cristo.

E la Banda del buco questo lo sapeva

Il Comune dice A, la provincia dice B, l’Arpa dice A<B.

Il Comune, che si era manifestato sui giornali, così disponibile ad aiutare la riapertura della Nichel Cromo, non fa altro che evidenziare paletti. Visto che da un mese non faccio altro che riportare a un ente quello che dice l’altro e vedere che uno scarica il barile all’altro senza soluzione di continuità, chiedo che venga convocata una conferenza dei servizi in modo da rifare un punto della situazione.  Mi si risponde con un No secco. Non ho mai capito il perché. Mi dicono che prima è necessario presentare un Rapporto di Sicurezza.

Ma va bene, ma fammi parlare con gli Enti preposti, Regione, Provincia, Vigili del Fuoco, tutti intorno allo stesso tavolo, che cosa ti costa? A quanto pare molto, forse troppo, non so.

Quindi, se senza un Rapporto di Sicurezza, che costa pure un sacco di soldi, non si può nemmeno immaginare una riapertura degli impianti, come faceva il Ciccio a dire a tutti, come scritto anche sui giornali, che a giorni avrebbe riaperto?

Rispondo ancora una volta: perché sapeva benissimo che non avrebbe mai riaperto. Perché aveva pronto le valigie dal giorno dell’incendio o forse anche prima.

Voglio ricontattare i vecchi clienti e valutare se potrebbero aiutarmi. Scrivo loro una lettera aperta. Sono contenta perché tutti mi rispondono. Uno in particolare si rende disponibile a finanziare la riapertura e ad entrare eventualmente in società. Non credo alle mie orecchie.

In una fredda giornata di fine gennaio, con la febbre, imbottita di Tachipirina, vado in gita sulla costa marchigiano romagnola, a trovarlo nella sua ditta, per discutere la fattibilità del progetto. Tra starnuti e colpi di tosse, stabiliamo che la cosa più importante è capire quanto costa la riapertura. E questo è quello che il CTR (consiglio tecnico regionale) deve aiutarmi a quantificare.

Sono ottimista, il traguardo mi sembra sempre più vicino.

Firmo quell’agognato quanto indispensabile Rapporto di Sicurezza. Intanto le prime foglie cominciano a ricolorare il mondo.

Ogni tanto mi ritrovo a camminare fra quei corridoi vuoti, e realizzo che una fabbrica che non lavora è come la morte, e chi interrompe volontariamente la vita che scaturisce da quegli ingranaggi intrisi di morcia e di sudore si macchia di un crimine molto simile all’omicidio.

Ma nessuno lo dice e nemmeno sembra pensarlo, o forse molto semplicemente tutti vogliono stare lontano da questa storia.

Da quando ero entrata anima e corpo nell’amministrazione mi avevano sempre tutti dipinto i Vigili del Fuoco come il mostro. Quelli con cui non si ragiona, quelli che non scendono a compromessi, che in una conferenza dei servizi sarebbero stati gli intransigenti.

Un venerdì mattina li aspetto nel cortile della Nichel Cromo. E’ la visita che precede il puntatone: l’incontro finale con tutte le autorità che devono decidere le sorti di questa fabbrica.

Arriva il capo dei Vigili del Fuoco. Temo questo incontro, me li hanno descritti come militari senz’anima. È un ingegnere gentilissimo. Gli mostro tutto, gli faccio presente che se loro fossero un po’ indulgenti io potrei riaccendere quell’impianto, che sì è vecchiotto, ma ha sempre fatto il suo dovere, e non ha mai fatto danni. Mi prende in disparte, mi sorride e mi dice: “Farò tutto quello che posso per aiutarla”.

Lo guardo e non riesco a trattenere le lacrime. È la prima volta che qualcuno mi tende la mano. “Non deve piangere signora. Vedrà che ce la farà”. Mi allunga il suo biglietto da visita “Se avesse bisogno di qualsiasi cosa, mi chiami”.

Il primo signore, l’unico, che ho incontrato in questa vicenda.

Arriva finalmente il grande giorno. Sono sotto esame. Venti persone davanti a me che aspettano che parli. Che illustri loro la situazione della Nichel Cromo.

Rappresentano il CTR, il comitato tecnico regionale. C’è la Provincia, la Regione, il Comune, l’Arpa, i Vigili del Fuoco. Finalmente dopo quasi un anno e tanti patimenti, sono seduta davanti alla tanto agognata Conferenza dei Servizi.

Mi ascoltano con gli occhi bassi e un malcelato imbarazzo mentre racconto del crimine che ha fermato l’attività della Nichel Cromo, della fuga, della mia volontà di riportare in vita questa ditta e smarrire i mostri che ci girano intorno. Non vogliono esporsi, prendere posizioni. Hanno ricominciato a giocare a palla avvelenata. Interrompo questo gioco con il cuore che va a mille e la voce rotta: “Scusate ma ci sarebbe un investitore disposto a aiutarmi ma se io non gli quantifico i lavori che sono indispensabili per ripartire, io perdo anche questa occasione.”

Il gioco si interrompe. Silenzio. Adesso tutti mi guardano. “Volevo solo chiedere, se veramente possiamo ripartire rimettendo la struttura nello stato in cui era prima dell’incendio.”

Silenzio.

“Beh io direi di sì”. È un vigile del fuoco che parla. Gli altri annuiscono.

Non credo alle mie orecchie.

Uscita da lì, un consulente mi dice: “Si ma vedrai che nel rapporto scritto che ti mandano non metteranno nero su bianco quello che ti hanno detto”.

Invece me lo mettono. È una duplice conquista. Posso chiamare l’investitore e dirgli che lo sforzo economico da sostenere non è così gravoso, e anche smascherare la banda del buco che aveva dipinto la burocrazia come un mostro insormontabile, che aveva costretto Carlo alla fuga per disperazione.

Ora il percorso mi sembra un pochino più in discesa.

Ma servono soldi che non ho.

E ovviamente tutti continuano a chiedermene. Gli operai e il sindacato con un’insistenza arrogante.

“Se non ha più soldi per pagare i cedolini e fare le buste paga per la CGIS allora deve portare i libri in tribunale e non stare qui a prenderci per i fondelli.”

“Qui ci sono famiglie che devono mangiare tutti i giorni, lei non se ne rende conto”.

“Allora, ditemelo voi quello che volete che faccia. Volete che finiamo qui l’avventura e fallisca? Io lo faccio”

 A loro dei miei sforzi non gliene frega niente. Sono le ultime parole che ci scambieremo nel Municipio del paese.

scromata

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scromata

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